
Fino al 1970 la Chiesa romana celebrava la circoncisione di Cristo il 1° gennaio. Un cambio di calendario tutt'altro che innocenteFonte: © Dov'è finita la Festa del Santo Prepuzio?
Contare il tempo non è un'impresa da poco. Perché si sa che se la Luna, al ritorno dei suoi graziosi quarti, ha tutta l'aria di un orologio, la sventura vuole che il Sole, che presiede alle stagioni, non abbia proprio appuntamento con essa. La storia del calendario è dunque quella di un ritocco, instancabilmente modificato, per cercare di mettere d'accordo la Luna e il Sole: in altre parole, sincronizzare le settimane ei mesi con l'alternanza climatica delle stagioni.
Se l'armeggiare è brutto e fai troppo affidamento sulla Luna, finisci per avere fragole a febbraio, il che sconcerta il contadino. I romani tentarono a lungo prima che Giulio Cesare, consigliato dall'astronomo egiziano Sosigene, mettesse in atto il cosiddetto calendario “giuliano”. È stato quindi necessario attendere l'anno 47 a.C. per disporre di uno strumento di misurazione annuale del tempo che consentisse, con il minimo di correzione ciclica - un giorno aggiunto ogni quattro anni - di raccogliere i mirtilli secondo il calendario appropriato pagina. Il mese di “luglio” conserva nel suo nome – Giulio – la memoria della grande opera, leggermente corretta nel 1 sotto papa Gregorio XIII.
Concedere la durata dell'anno al corso solare delle stagioni era, certo, il passo più importante, ma era stato necessario concordare il momento del suo inizio. Per sottolineare ciò, “naturalmente” dovevamo scegliere tra la ripresa primaverile della vegetazione (che per prima sedusse i romani) e il ritorno della luce dal solstizio d'inverno – momento adottato dall'anno 153 dell'era antica. Infine, era necessario suddividere la lunghezza del mese in sequenze gestibili.
Se i Greci avevano la decade, mutuata dagli Egiziani, i Romani gradualmente adottarono la settimana, ben intonata alla Luna e cara al mito fondatore degli Ebrei. Sebbene il capodanno romano abbia scelto i suoi segni naturali dalla parte del solstizio (festa di Sol invictus, “sole invitto”), ebbe cura di distinguersene facendosi celebrare ufficialmente, otto giorni dopo, nella festa di Giano.
Divinità della Porta Vecchia (janua) e brani, Giano veniva celebrato all'inizio di ogni ciclo mensile. Darà finalmente il suo nome al mese che apre il passaggio di tutto l'anno, diventando così Januarius, il nostro mese di “Gennaio”. L'Impero Romano, come sappiamo, si è gradualmente cristianizzato. Gli dei scivolarono via verso altri empirei. Sono rimasti solo pochi nomi (Mercurio, Venere…), che punteggiano i giorni della settimana a nostra insaputa. Giano bifronte non aveva più il peso, prese la porta e liberò lo spazio proprio all'inizio del calendario.
Ma Gesù Cristo, per mancanza di documenti, era proprio alla ricerca dell'anniversario della sua nascita. È quindi del tutto naturale che la cultura, divenuta cristiana, scelga di fissarla Dies natalis (Natale) nel punto solstiziale dove un tempo trionfava terreno inespugnato. La cultura, però, non ama i colori troppo “naturali”. La luce che riappare, la nascita di un bambino, fosse pure il figlio divino di una vergine, restano testimonianze troppo direttamente familiari per segnare con forza l'inizio dell'anno. Gesù, per fortuna, aveva avuto la buona idea di nascere ebreo, cioè promesso alla circoncisione, segno per cui il corpo, divenuto segno, sfugge a ogni evidenza naturale.
Nel mito ebraico, questo taglio è imposto da Dio ad Abramo. Pegno di iscrizione al gruppo, va di pari passo con la storia del sacrificio di Isacco. Eletto da Dio, Abramo è posto a capo di una innumerevole posterità. Simbolicamente spossessato di un figlio, carnalmente orfano di un prepuzio, è tuttavia tenuto entro limiti umani. Dei tre monoteismi, solo il cristiano si separò gradualmente dalla circoncisione. A poco a poco, perché i primi discepoli di Gesù erano, certo, ebrei, e lui stesso non si è mai staccato dalla legge di Mosè. Ci vorrà molto tempo per il rito battesimale e la nozione di “circoncisione del cuore”, richiamato da Paolo di Tarso dal Deuteronomio. Ma questa metafora, che rende obsoleta la distinzione tra circoncisi e incirconcisi, non invalida affatto l'antico rito. La teologia cristiana più ufficiale (quella, ad esempio, di Tommaso d'Aquino) ha sempre professato che la circoncisione, di per sé, cancella già la "peccato originale". Ciò non ha impedito l'uccisione di alcuni ebrei. Ma almeno la filiazione tra la nuova Alleanza e la vecchia rimase fortemente affermata.
La celebrazione del Natale alla data del 25 dicembre è attestata per la prima volta nell'anno 354. E il minimo che si possa dire è che la scelta di commemorare la nascita di Gesù invece dell'antica festa del solstizio, piuttosto che nel giorno Janus, non aveva niente di innocente. Perché, in senso stretto, ciò significa che Gesù è nato prima di Gesù Cristo: cioè sette giorni prima dell'inizio dell'era cristiana.
In altre parole, ciò che strutturalmente fa perno tra la vecchia era e la nuova è la circoncisione di Gesù e non la sua nascita da parte di Maria. L'inizio del tempo cristiano è quindi ombelicale al centro del più importante dei rituali del giudaismo. La teologia delle origini sentiva chiaramente che Dio non poteva incarnarsi nella negazione. Gesù, nato ebreo e legittimato, per i cristiani, dai testi profetici ebraici, non poteva essere ritirato, l'ottavo giorno, dal rito più sacro degli ebrei - quello che incarna, a costo di una perdita, l'alleanza con Dio.
Essendo il conteggio dei giorni quello che è, l'indefinitezza delle origini si articola contemporaneamente a quella della fine dei tempi, da una parte e dall'altra del punto fisso rappresentato dal taglio del prepuzio divino (anni “a.C.” e anni “ ANNO DOMINI"). Che lo sappiamo o no non cambia nulla. Un sistema simbolico non ha bisogno di permesso per incastrarci.
Dall'VIIIe secolo, per tutta la cristianità, il caso fu risolto. A terreno inespugnato era succeduto a Natale, e il vecchio Giano, al 1er Gennaio, aveva lasciato il posto alla festa “della Circoncisione e del SantoPrepuzio (Sic) di Nostro Signore”. Questo almeno fino al bug teologico di 1er Gennaio 1970. Perché, in questa data, la festa della Circoncisione passa discretamente in disparte a favore di quella della "Santa Maria madre di Dio"… Che cosa era accaduto perché la Chiesa apostolica e cattolica romana rinunciasse improvvisamente, e quasi clandestinamente, a uno dei suoi segni simbolici più forti? In mancanza di una spiegazione, siamo costretti a sottolineare la perfetta coerenza, ahimè, della cronologia e della peggiore logica. Tutto accade come se, spinta dallo spirito conciliare, la Chiesa non fosse riuscita a riconciliarsi suo malgrado con gli ebrei. Qualificando l'accusa di "deicida", il Concilio Vaticano II (1962-1965) ha incantato il “Tradimento ebraico” caro alle preghiere del Venerdì Santo. Riconoscendo la sua filiazione, la Chiesa romana si era spinta fino a chiedere a “dialogo fraterno” con il giudaismo riconoscendo, seguendo Paolo, “che si nutre della radice dell'ulivo franco su cui sono stati innestati i rami dell'olivo selvatico che sono le genti” (Vaticano II, 28 ottobre 1965).
Già al concilio si erano levate voci che suggerivano di canonizzare Giovanni XXIII per acclamazione (come ai tempi in cui il popolo di Dio aveva la precedenza sulla sua amministrazione). C'era pericolo in casa. Paolo VI, con tutta l'abilità vaticana, aveva sventato la manovra affrettandosi ad aprire una classica procedura di beatificazione per Giovanni XXIII in contemporanea con il contestatissimo Pio XII. A meno di cinque anni dalla “riconciliazione” conciliare, va notato, e sotto il pontificato di questo stesso Paolo VI, che la festa della Circoncisione ha abbandonato definitivamente il calendario liturgico romano. L'impatto del loro atto (degno dell'ablazione di Trotsky dagli album stalinisti) non poteva sfuggire ai liturgisti professionisti che hanno discretamente manomesso il simbolismo cristiano del Primo dell'Anno. Questa è una decisione deliberata che smentisce qualsiasi buona intenzione altrimenti manifestata. Perché, sebbene di grande stupidità teologica, questa piccola scelleratezza non è priva di significato. Non è altro che una mutilazione genealogica. Di un simbolico parricidio. Di un disconoscimento della filiazione. L'identità cattolica è così vacillante da non poter fare a meno della negazione?
Francesco Martens, Antropologo di formazione, insegna psicoanalisi post-laurea presso l'Università Cattolica di Lovanio (UCL), Belgio.
FRANCIS MARTENS